Matematicamente

venerdì 26 febbraio 2010

Storie Di Numeri Di Tanto Tempo Fa - Capitolo 5



Cari ragazzi e cari lettori, dopo un periodo di interruzione, dovuto a priorità ineludibili, riprende la pubblicazione di "Storie di numeri di tanto tempo fa".

Ecco a voi il quinto capitolo! Buona lettura!






STORIE
DI NUMERI
DI TANTO TEMPO FA

di
David Eugene Smith


(Traduzione di Anna Cascone)


CAPITOLO V


Come Robert, Wu e Caio addizionavano i numeri


capitolo_5


«Non riesco a capire come facevano ad addizionare i numeri visto che li scrivevano alla maniera dei romani», disse Irene, solo per far raccontare al Cantastorie un’altra storia.
«I numeri che usava Hippias erano brutti» disse Edward.
«Ma quelli di Daniele erano anche peggio» disse Will.
«Quelli di Ahmes e Lugal erano i peggiori di tutti» aggiunse Dorothy.
«Capisco», disse il saggio e vecchio Cantastorie, «la Folla ha pianificato questa discussione solo per farmi raccontare un’altra storia», al che la Burlona rise alludendo.
«Beh, si vede che tutti avete difficoltà con i numerali», continuò, «quindi stasera vi racconterò una storia sulle difficoltà di tre ragazzi che trovarono un modo per addizionare i numeri nonostante che questi ultimi fossero complicati.»

Caio frequentava una specie di scuola commerciale. Lì imparò a scrivere, a leggere i rotoli di pergamena che parlavano delle consuetudini commerciali e a svolgere le uniche due operazioni con i numeri che allora erano considerate indispensabili. Si trattava dell’addizione e della sottrazione e se ci pensiamo bene, esse ricoprono oggi buona parte dei calcoli aritmetici. Invece non sempre abbiamo bisogno di una moltiplicazione o di una divisione.

Se vi chiedessero di addizionare 257 a 369, trovereste talmente semplice questa operazione che fareste fatica ad immaginare che qualcuno possa avere difficoltà. Ma quando l’insegnante chiese a Caio di addizionare questi numeri scritti con i numerali romani, la cosa non era così semplice. Sicuramente siamo portati a pensare che, se l’aritmetica consistesse solo nell’addizionare, i numerali romani non sarebero poi così difficili. All’inizio i romani scrivevano III anziché IV, VIII anziché IX e così via, e se lo fate anche voi scoprireste che è semplice fare le addizioni con i numerali romani così come con i nostri.

Dopo aver imparato a fare le addizioni, che egli trovò abbastanza semplici, Caio imparò a fare le sottrazioni, e anche questo lo trovò semplice. Ma quando doveva fare le moltiplicazioni e le divisioni con i numerali romani, aveva serie difficoltà.
Sebbene Caio avesse imparato a fare le addizioni e le sottrazioni con i numerali romani, c’era un altro metodo più comune. Imparò ad usare i sassi nelle operazioni con i numeri.

Scoprì che poteva disegnare delle linee su una tavola –una per rappresentare le unità, un’altra per le decine e così via- e posizionare i sassi su queste linee. Posizionando i sassi sulle linee delle unità, delle decine e così via, poteva fare rapidamente le addizioni. Ovviamente non poteva essere così rapido nelle addizioni come possiamo esserlo noi oggi, ma a quei tempi nessuno sapeva operare in modo veloce con i numeri, e Caio faceva proprio come tutti gli altri. La gente non aveva molte operazioni da fare con i numeri e non andava di fretta come noi.

Naturalmente Caio parlava il latino e quindi non usava la parola “sasso” bensì il termine latino “calculus”, che equivale a sasso. Per cui invece di dire che Caio muoveva i sassi da una parte all’altra per trovare la risposta, diciamo che la calcolava, utilizzando una parola che suona molto più simile al latino. Da ciò capiamo il significato originario delle parole “calcolare” e “calcolo” che usiamo oggi.

Oltre ad usare i sassi, come a volte faceva ed era consuetudine a quei tempi, Caio usava anche dei dischi a forma di cerchio simili alle nostre pedine della dama o ai nostri bottoni e li chiamava calculi, che è il plurale di calculus. Quando lui e altri ragazzi andavano a scuola, non portavano con sé né quaderni, in quanto la carta non esisteva ancora, né lavagnette; ma a volte portavano tavolette rivestite di cera su cui scrivevano con bastoncini appuntiti che assomigliavano vagamente alle nostre matite, cancellando quello che scrivevano semplicemente levigando la cera. Si portavano sempre dietro i calculi quando facevano aritmetica. Perciò, praticamente tutti quelli che facevano delle operazioni con i numeri avevano a portata di mano una scatoletta o una borsetta piena di questi calcoli.

A volta i mercanti usavano una piccola macchinetta calcolatrice chiamata abaco e  facevano scorrere i calcoli su delle scanalature.
Mentre Caio imparava a fare le addizioni e le sottrazioni con i numerali romani e con i calculi, un ragazzo cinese di nome Wu imparava a fare le addizioni e le sottrazioni con i numerali che Chang aveva studiato molti anni prima. Anche per lui era necessario utilizzare qualcosa che assomigliasse ai calculi con cui Caio aveva fatto le operazioni, ma al posto dei sassi e dei dischetti usava bacchette di bambù.

Wu pensava di fare qualcosa di eccezionale addizionando due numeri grandi in soli due minuti. Probabilmente voi ci mettereste qualche secondo ma pensate quanto tempo ci vorrebbe se aveste solo una piccola pila di bastoncini con cui fare le operazioni. Wu ci metteva un bel po’ per disporre i bastoncini e rappresentare un numero o due per fare la somma.
Questo schema per fare i calcoli utilizzando le bacchette di bambù venne portato dai cinesi in Corea ma i coreani usavano bacchette di osso e hanno continuato a farlo nelle scuole e nei calcoli commerciali fino a qualche tempo fa.

Fu più di mille anni fa, dopo che Wu imparò a fare le addizioni con le bacchette di bambù, che i cinesi adottarono l’idea degli antichi romani di fissare i calculi su di un abaco, inventando così la tavola per i calcoli detta suan pan. La usano ancora oggi nelle scuole, nelle banche e nei negozi di tutta la Cina e spesso fanno i calcoli più velocemente di quanto non facciamo noi con carta e penna. Forse avrete visto senz’altro il suan pan in una lavanderia cinese in qualche città europea.

Circa trecento anni fa andava a scuola in Giappone un ragazzo di nome Seki e il suo insegnante gli aveva parlato di un miglioramento che i giapponesi avevano apportato all’abaco cinese.
Quindi Seki imparò a fare i calcoli sul soroban, che è la versione giapponese del suan pan  e viene usato ancora oggi ovunque in Giappone.
Seki crebbe e diventò il più grande matematico del Giappone; il suo nome è conosciuto in ogni parte di questo paese ed è noto a molti studenti di matematica in altre parti del mondo.
Molti giapponesi sanno fare le addizioni e le sottrazioni con il soroban più velocemente di quanto possiamo fare noi con carta e penna.

Circa quattrocento anni fa nacque in Inghilterra un ragazzo di nome Robert Record. Quando andò a scuola, gli fu insegnato ad usare i numerali romani ed era molto bravo ad addizionare, sottrarre, moltiplicare e dividere i numeri proprio come aveva imparato a fare Caio quando faceva i conti con l’aiuto dei calculi circa millecinquecento anni prima.
Tuttavia sono avvenuti due importanti cambiamenti in quell’arco di tempo. Anziché fare spazio sulla tavola della conta solo per le unità, le decine, le centinaia e così via, vennero utilizzati anche gli spazi tra le linee per indicare i cinque, i cinquanta, i cinquecento e a seguire, ma le linee adesso erano orizzontali. Non sappiamo quando siano avvenuti questi cambiamenti ma si verificarono in quelli che vengono definiti i Secoli Bui.

Poiché Robert contava i calculi sulla tavoletta, parlava di “fare la conta”, espressione ancora in uso oggi. La tavoletta su cui scriveva veniva chiamata generalmente “banco”. E noi oggi compriamo le merci al banco, senza pensare all’origine della parola.
Robert chiamava i calculi “calcolatori” e se avrete letto Shakespeare, avrete incontrato sicuramente l’espressione “un calcolatore”, che indica un uomo che sa fare i conti solo con i calculi e non con carta e penna come facciamo noi.

Robert addizionava i numeri molto più di quanto non facesse Caio, posizionando i calculi sulle linee e tra gli spazi. Quando arrivava a cinque calculi su una linea o all’interno di uno spazio, li raccoglieva e ne riportava uno nello spazio successivo. Ora capite perché diciamo “uno di riporto” quando facciamo un’addizione, proprio perché ai tempi di Robert Record veniva riportato un calculus nello spazio successivo.

Quando Robert diventò adulto, scrisse diversi libri e cercò di influenzare gli inglesi sul fatto che dovessero smettere di usare i numerali romani.
Ci viene da ridere se pensiamo all’uso che Robert faceva dei calculi e crediamo di essere più intelligenti di lui solo perché usiamo carta e penna. Ma dobbiamo sapere che la maggior parte della gente oggi preferisce non usare carta e penna per fare i conti. I russi in genere usano un abaco; anche molti persiani ne usano uno; i cinesi usano il suan pan e i giapponesi usano il soroban. Anche in Europa e in America i calcoli più importanti vengono fatti dalle macchine per le moltiplicazioni e le divisioni. Spesso i commessi dei negozi più svariati usano un regolo. Forse tutti avrete visto uno strumento simile e alcuni di voi avranno imparato a moltipicare scorrendo a destra o a sinistra.

Questo dimostra come Caio, Wu e Robert e molti altri ragazzi in altre parti del mondo abbiano avuto difficoltà con i sistemi numerali mediocri e abbiano superato tali difficoltà grazie alle macchine. Noi oggi usiamo le macchine per facilitarci le operazioni con i numeri, soprattutto nelle banche e nei negozi.

«Doveva durare un bel po’ di tempo una lezione di aritmetica a quei tempi» disse Emily.
«Non più del tempo che ci vuole adesso» disse il Cantastorie.
«Com’è possibile?» chiese Charles.
«È semplice. Tutto quello che dovete fare è abbreviare la lezione di aritmetica, proprio come facevano allora.»
«Vorrei tanto che fosse così anche nella mia scuola» commentò Margaret.
«Sul serio?», chiese il Cantastorie, «e vorresti fare le operazioni con i calculi su una tavoletta?»
«Beh, quella è un’altra cosa», rispose Margaret, «dopotutto penso che il nostro metodo sia migliore di quello che usavano loro.»
«Ancora non capisco come facevano a fare le moltiplicazioni con i numerali romani» disse Helen.
«State cercando di farmi raccontare un’altra storia» disse il furbo e vecchio Cantastorie.
«Non dimenticate la Sezione Domande. Adesso mettetevi a letto e non disturbatemi più per questa sera.»
«E domani sera?» chiese la Burlona.
«A letto!» ordinò il Cantastorie.


SEZIONE DOMANDE

1.    Come faceva Caio ad addizionare i numeri XXVII e LXXXVIII senza usare i calculi?
2.    Cos’erano i calculi e qual è l’origine dell’odierna parola “calcolare”?
3.    Come faceva Caio ad addizionare i numeri XXVII e LXXXVIII con l’utilizzo dei calculi?
4.    Cosa portavano a scuola gli alunni romani per fare i calcoli?
5.    In cosa consistevano le tavolette di cera degli alunni greci e romani e come venivano utilizzate?
6.    Chi anticamente faceva i calcoli con le bacchette di bambù e successivamente con il suan pan ?
7.    In quale paese le persone facevano i calcoli con le bacchette di osso? Dove si trova questo paese?
8.    Come faceva Robert Record a fare i calcoli?
9.    Qual è l’origine della moderna parola “calcolatore” così come viene usata nei negozi?
10.    Quali nazioni fanno ancora uso dell’abaco?
11.    Che tipi di macchine o strumenti vengono oggi utilizzati per fare i calcoli in molti paesi civilizzati?
12.    Tra tutti i modi diversi che sono stati menzionati per fare i calcoli, quale usereste se doveste moltiplicare due numeri grandi?


Già pubblicati

Prefazione 1 e Prefazione 2





8 commenti:

  1. che interessante! curiosità che difficilmente uno se le va a cercare...ma grazie a te che le pubblichi ...per noi pigroni
    un caro saluto
    elisa

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  2.  Rosaria.
    grazie Annarita, come mi piacciono queste storie dei numeri
    le trovo fantastiche.
    Me le sono salvate tutte 
    Ciao bacio.

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  3. buon pomeriggio prof.
    wow è bello il quinto capitolo
    simone1b

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  4. Sì, Elisa, è interessante e stimolante per i ragazzi.

    Un caro saluto.
    annarita

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  5. Ne sono lieta, Rosaria.

    Un abbraccio.
    annarita

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  6. Vedi, Linda, che a passare dal blog si trova sempre qualcosa che interessa?

    A domani.
    La tua prof.

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  7. Bravo Simone! Aspetta i prossimi capitoli. Vedrai che sono altrettanti divertenti e interessanti.

    A domani.
    La tua prof.

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  8. Ne sono contenta, Lety.

    A lunedì.

    La tua prof.

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