domenica 9 febbraio 2014

La Matematica Della Guerra

"La Matematica della guerra" potrebbe sembrare un titolo strano...ed infatti lo è!
Quale utilità potrebbe avere in termini pratici?
Ce lo spiega Sean Gourley, che, insieme al suo team, estraendo dati grezzi dalle varie fonti di notizie, e rappresentandoli con grafici e formule, ha fatto scoperte sorprendenti sulla natura della guerra moderna. E forse, su un modo per risolvere i conflitti. 
Magari!
La ricerca di Gourly e del suo team è stata pubblicata nel dicembre del 2009 su Nature.

In ogni caso, vale la pena ascoltarlo in questo filmato.

Riporto la traduzione del testo, a cura del TED translator Michele Giannella. Personalmente ho eliminato molti refusi e ordinato la punteggiatura molto confusa e spesso assente.

Se guardiamo i media, le notizie dall'Iraq, dall'Afghanistan, dalla Sierra Leone, il conflitto ci sembra incomprensibile. O almeno, così é sembrato a me quando ho iniziato questo progetto Ma, da fisico, ho pensato, "Beh, se avessi alcuni dati certi magari lo potrei capire. Datemi una chance."

E così, da ingenuo neozelandese ho pensato beh, andrò al Pentagono e lì chiederò: "Potete darmi qualche informazione?" (Risate) No, non potevano. Pertanto dovevo lavorarci su un pò di più da solo. E una sera, ad Oxford, stavo guardando le news. Guardavo tutti quei chiacchieroni sul mio canale preferito, e notai che c'erano dei fatti. C'erano dei numeri in mezzo al flusso di notizie che consumiamo. In mezzo a tutto questo rumore che ci circonda, c'è dell'informazione. Perciò ho iniziato a pensare che forse questa era una sorgente di notizie disponibile e di libero accesso, e che, se avessi potuto raccogliere una quantità sufficiente di questi flussi di informazione, forse avremmo potuto iniziare a comprendere la guerra.

E così feci. Riunimmo un team interdisciplinare di scienziati, economisti, matematici. Mettemmo questa gente insieme e cominciammo a provare a risolvere il problema. Procedemmo in tre fasi: per prima cosa, raccogliemmo informazioni da 130 fonti diverse: giornali, ONG e notizie dai TG. Riunimmo questi dati grezzi e li filtrammo, per estrarne i dati necessari a costruire il database. Questo database conteneva il momento degli attacchi, il luogo, la dimensione e le armi usate. Era tutto nel flusso di informazioni che riceviamo quotidianamente, bisognava solo sapere come estrarlo. E una volta ottenuto questo, potevamo iniziare a fare cose molto interessanti. Se avessimo studiato la distribuzione delle dimensioni degli attacchi, cosa ci avrebbero detto?

Iniziammo a studiarle. E qui potete vedere, sull'asse orizzontale, il numero dei morti uccisi in un attacco cioè l'entità dell'attacco. L'asse verticale indica invece il numero degli attacchi. Nella rappresentazione dei dati dei campioni, abbiamo una specie di distribuzione casuale -- magari 67 attacchi con un solo morto oppure 47 attacchi con sette persone morte. Facemmo la stessa identica cosa per l'Iraq. Non sapevamo cosa avremmo trovato per l'Iraq. E alla fine quello che scoprimmo fu sorprendente. In tutto questo conflitto, in tutto questo caos, in tutto questo rumore, da tutto ciò esce una precisa distribuzione matematica del modo in cui gli attacchi si svolgono nel conflitto. La cosa ci sorprese. Perché mai un conflitto come quello iracheno avrebbe dovuto avere questa "firma"? Perché mai dovrebbe esserci "ordine", nella guerra? Non riuscivamo davvero a comprenderlo. Pensammo che forse c'era qualcosa di speciale nella guerra in Iraq. E così abbiamo dato un occhiata a qualche altro conflitto. Studiammo la Colombia, l'Afghanistan, il Senegal.

Ed in ogni conflitto emergeva lo stesso schema. Questo non era previsto. Sono guerre diverse, con diverse fazioni religiose, diverse fazioni politiche, e problemi socioeconomici diversi. E tuttavia, lo schema di fondo è lo stesso. Così allargammo un po' la visuale. Analizzammo tutti i dati reperibili, provenienti da tutto il mondo. Dal Perù all'Indonesia, emergeva sempre lo stesso pattern. E trovammo che non solo le distribuzioni seguivano queste linee rette, ma che l'inclinazione di queste linee, che l'angolo d'inclinazione alfa delle linee era sempre vicino a 2,5. Potevamo addirittura descrivere con un'equazione la probabilità di un attacco. Quello che mostriamo qui è che la probabilità di un attacco, in cui muoiano X persone in un posto come l'Iraq, è uguale ad una costante, moltiplicata per la dimensione dell'attacco, elevata alla meno Alfa. E "meno Alfa" è l'inclinazione della linea che vi ho mostrato prima.

E allora? Queste sono statistiche. Che cosa ci dicono di questi conflitti? Questa era una sfida che dovevamo affrontare, come fisici. Come si spiega tutto questo? E abbiamo scoperto che Alfa a pensarci bene, é la struttura organizzativa degli insorti. Alfa descrive la dimensione degli attacchi, cioè la distribuzione della forza del gruppo che lancia gli attacchi. Abbiamo usato modelli di comportamento dei gruppi coalizioni e frammentazioni, vale a dire Gruppi che si riuniscono, gruppi che si frammentano, e quantizzato il loro comportamento. Questi modelli avrebbe mostrato gli andamenti che stavamo vedendo in posti come l'Iraq? Saltò fuori che potevamo approssimare abbastanza bene le curve reali con queste simulazioni. I processi comportamentali dei gruppi (process of group dynamics) potevano spiegare quello che vedevamo in tutti i conflitti del mondo

Che vuol dire? Perché questi conflitti, che sembrano così diversi, dovrebbero avere gli stessi patterns? Secondo me, la cosa si spiega così: le forze di insurrezione evolvono nel tempo, si adattano e scoprono che c'è un solo modo per combattere un nemico molto più forte, e, se la forza di insurrezione non scopre questa soluzione, sparisce. Quindi ogni gruppo insurrezionale esistente, ogni conflitto esistente, alla fine avrà questo comportamento. Questa è la nostra spiegazione.

Spingendoci oltre, come possiamo cambiare le cose? Come mettiamo fine ad una guerra come quella in Iraq? Che aspetto ha? Alfa è la struttura. Ha un valore stazionario di circa 2,5. È l'aspetto di tutte le guerre che si protraggono. Dobbiamo cambiare quel valore. Possiamo aumentarlo: quando le forze si frammentano, i gruppi avversari cioè sono più numerosi, ma più deboli. Oppure riduciamo alfa: ora ci sono meno gruppi e più forti, con i quali, magari, è possibile intavolare una trattativa.

In questo grafico, che nessuno ha ancora visto, letteralmente roba della scorsa settimana, vediamo l'evoluzione di Alfa nel corso del tempo. Lo vediamo iniziare e crescere fino allo stato di stabilità che hanno le guerre di tutto il mondo (2,5). E rimane a quel punto anche durante l'attacco di Falluja fino ai bombardamenti di Samarra e le elezioni Irachene del 2006. A questo punto, il sistema si altera ed alfa cresce verso la frammentazione. Qui è quando hanno rinforzato il contingente americano (surge); le opinioni qui sono diverse, ma, in generale, il rafforzamento avrebbe dovuto frammentare ancor più le forze avversarie, e invece è successo l'opposto. I gruppi avversari si sono rafforzati, sono divenuti più forti, e, quindi, ho pensato: bene, Alfa scende, possiamo trattare, siamo vicini ad una soluzione; ma di nuovo è successo l'opposto: Alfa è risalita ancora e i gruppi si sono frammentati. Pertanto, delle due l'una. O siamo tornati da dove siamo partiti, e il rafforzamento del contingente americano non ha avuto alcun effetto, o alla fine i gruppi si sono frammentati tanto da estinguersi e, quindi, possono pensare di ritirarsi. Non so quale sia la risposta giusta, ma so che dobbiamo osservare la struttura delle forze d'insurrezione per rispondere alla domanda. Grazie. (Applausi)

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